28 Settembre 2024

EMILIA KINA

Venezia

“Ogni opera di Emilia è tridimensionale, sofisticata, quasi scultorea.

La sua arte non è figurativa ma coinvolge lo spettatore in uno spettacolo di colore tra contrasti di luce e ombre”

Rossella Farinotti

Dal 26 al 28 Settembre in occasione dell’apertura della residenza veneziana di Alessia Garibaldi di Garibaldi Architects in Santa Croce 1755 si terrà la mostra “Nizioleto Contemporary” .

In questa serata UNLOCK in collaborazione con la galleria eastcontemporary presenterà un’opera di Kina realizzata site-specific ed esposta all’interno degli spazi della dimora veneziana. Una collezione di artisti che dialogano con lo spazio architettonico, una generazione emergente che instaura un nuovo luogo per l’arte.

Santa Croce 1755, un luogo di nuove identità artistiche e di convivialità. Uno spazio per muse inquiete.

Chi è Emilia Kina?

Emilia Kina (n. 1990, Cracovia, Polonia) si è laureata presso la Facoltà di Pittura dell'Accademia di Belle Arti di Cracovia. La sua pratica artistica si articola principalmente intorno alla pittura e alla fotografia. L'artista si interessa alla materialità dell'immagine, un medium semplice che però ha origine da problematiche complesse, la cui essenza risiede nelle relazioni tra la pittura come immagine e la pittura invece intesa come oggetto. Emilia Kina ha recentemente esposto alla Szara Kamienica di Cracovia, alla Raster Gallery di Varsavia, alla Fondazione Stefan Gierowski di Varsavia, alla Kristin Hjellegjerde Gallery a Londra, così come in occasione di alcune fiere d'arte internazionali come Artissima a Torino 2021 e NAD Miami 2021.

Indaghiamo meglio sulla sua arte…

Jacques Lacan, psicanalista e psichiatra francese dei primi del ‘900 racconta un aneddoto che riprende un episodio dei suoi vent’anni su una barca nel mare di Bretagna con dei pescatori locali. La storia ha per protagonista una piccola scatoletta di sardine che galleggia tra le onde e Petit-Jean, il giovane pescatore che accompagna Lacan in questa impresa, il quale, indicando l’oggetto lontano tra le onde, pronuncia le seguenti parole: Vedi quella lattina? La vedi? Beh, lei non vede te.

È da questo apparentemente insignificante episodio che la riflessione di Lacan sulla reciprocità del vedere prende una svolta, aprendo la strada a un’indagine più profonda sul potere degli oggetti e delle immagini di restituire lo sguardo, esercitando un’azione (agency) che sfugge al controllo – o alle mere visioni della prospettiva geometrica.

È quanto accade nella pratica di Emilia Kina, che sembra operare un’evasione da un modo astratto di vedere. Se posso vedere qualcosa, quel qualcosa può vedere me.

Questa è la premessa da cui partire per decostruire la nostra soggettività. Sebbene la sua pratica sia perfettamente ascrivibile alla pittura il suo lavoro si colloca sulla soglia di diverse espressioni, intrecciando elementi fotografici a una dimensione installativa e ad elementi architettonici, impiegati in un’appassionata indagine delle dinamiche esplicite e inconsce che riguardano il visuale.

Kina si concentra sul motivo della tenda attraverso soluzioni e mezzi differenti (dalle “polaroid” alle installazioni, fino a vere e proprie costruzioni scultoree) La tenda, raffigurata come un drappeggio tessile, diversamente piegato, colorato e animato, è una sintesi delle preoccupazioni sullo status dell’immagine

Emilia seguendo un percorso fatto di diverse soluzioni ha perfezionato la sua pratica ad un livello concettuale che pone il soggetto, il suo sguardo, l’immagine e l’occhio centrali nella sua ricerca mettendo alla prova il suo pubblico attraverso uno scambio di ruolo e di percezione.

Nelle sue opere è in gioco una sorta di “aporia tangibile”, dal momento che operano un rimbalzo dello sguardo: l’aporia risiede nell’oscillazione tra figurativo e astratto, cancellazione e costruzione. Questa aporia, senza la quale il dipinto rischierebbe di restare in una sorta di impasse stilistica, è riscattata dall’inserimento degli effetti di luce, o riflettori, che Kina proietta sulla superficie. Se il luccichio nel mare è la prima traccia della decostruzione del soggetto, un’altra tappa del pensiero lacaniano che accompagna la costruzione e la decostruzione dell’io è quella dello specchio. Nelle sue opere più recenti, Emilia Kina introduce proprio quest’ultimo nelle sue tele. La posta in gioco non è l’immagine, ma ciò che l’immagine attiva, chiamandoci in causa come soggetti osservanti, come farebbe una scultura o un’opera architettonica nello spazio.

Attraverso questa nuova fase, la ricerca di Kina approfondisce l’immagine come soggetto spaziale e dinamico contingente, con cui il corpo e lo sguardo dello spettatore sono chiamati a interagire.

In un’intervista del 2017, l’artista ricorda la sua fascinazione per il concetto di occultamento dalla vista, storicamente operato nelle arti attraverso diversi mezzi, tra cui barriere fisiche, come drappi o altri espedienti, in grado di impedire lo sguardo e costringere lo spettatore a sbirciare.

Leonardo Da Vinci scrive: “Non svelarmi se la libertà ti è cara, perché il mio viso è la prigione dell'amore

Nell’era dell’informazione, ciò che queste immagini vogliono è che contempliamo il loro desiderio e, così facendo, osserviamo noi stessi.

Giulia Pollicita

Courtesy by eastcontemporary